Impressioni di novembre, ovvero: "Che ci faccio di notte nelle campagne di Tarquinia??"
Resoconto "oggettivo" del 4° Stage di Sopravvivenza del Club Arrow
Cronaca semiseria di un naufrago dell'aria.
Caro Presidente, cari Istruttori, cara Segretaria, caro Personale di Cucina,
abbiamo da tempo appreso che il Club Arrow non e' una scuola di volo ma una scuola di vita.
E la vita, si sa, e' fatta di momenti belli e di momenti brutti.
Per questi ultimi, in genere, provvede uno degli istruttori quando decide che noi allievi piloti dobbiamo cavarcela in situazioni ambientali difficili, simulando che il nostro Skyarrow ci ha abbandonati (io l'avevo detto di cambiare prima il motore al 5449!) sulla rotta Sutri-Vejano-Tarquinia e, sopravvissuti all'incidente (grazie alla perizia del sottoscritto) abbiamo essenzialmente tre compiti: trovare una sorgente d'acqua, rintracciare un luogo adatto per segnalare con il fumo la nostra presenza a eventuali soccorritori (che non si sognano neppure di cercarci, tanto l'aereo e' assicurato) e, infine, di costruire un rifugio per la notte.
Alle 7.30 (7.50 per uno sfaticato artista) ci si trova al campo volo per essere «imbarcati» su una Dacia Duster in sei. Alla guida l'accompagnatore Lorenzo, di fianco l'istruttore Fabio, dietro «i solisti» (o solitari?) Giuseppe, Alimberto e io. Nel portabagagli Stefano, arrivato ultimo tra i solisti in ordine cronologico, ma dopo qualche piagnisteo da parte di quest'ultimo che soffre le virate strette di Lorenzo, si cambia posto: chi finisce nel portabagagli? Non c'e' piu' rispetto per gli anziani...
Qualche chilometro prima della destinazione scelta dagli aguzzini, gli allievi vengono bendati perche' non abbiano punti di riferimento. Anche scesi dall'auto, proseguiamo come tante Sabrine (ma lei almeno ha Elettra) per un indefinito percorso che a noi sembra eterno ma che si rivelera' di poche centinaia di metri. La salvezza sembra vicina quando sento Fabio dire «buon giorno» a un villico, ma questi deve aver pensato che si trattava della solita tratta di immigrati clandestini e avra' pensato «finalmente qualcuno che provvede a dargli quello che si meritano».
Liberati dalle bende in una radura, veniamo divisi in due squadre da due: Alimberto e' con Stefano, seguiti da Lorenzo. Io con Giuseppe, accompagnati da Fabio. Il loro compito e' di rintracciare una sorgente, il nostro d'individuare un punto alto per giocare agli indiani con il fumo, poi c'invertiremo i ruoli. Unica arma in mano (sequestrati alla partenza cellulare, acqua, viveri, bussole, bambole gonfiabili, pistole lancia-razzi) una cartina igm (che non ho ancora capito se ha a che fare con le modifiche genetiche o altro) in bianco e nero (suppongo per la taccagneria di Lorenzo: chissa' cosa costava una copia a colori). Io non so che pesci prendere, ma il mio «leader» Giuseppe (ci hanno detto che bisognava avere un «leader», figuriamoci se potevo essere io!) fa finta di aver capito quasi tutto. Io tra mucche e cavalli al pascolo, intravvedo un cercatore di funghi o tartufi e sarei anche andato da lui, ma per l'amor di dio, in queste situazioni chiedere un'informazione e' vietatissimo, neanche mi fossi avvicinato a un guerrigliero dell'ISIS. Per fortuna, dopo una curva, vediamo, in alto, un ponte ferroviario di una linea in disuso, sul quale riteniamo ci abbiano fatto camminare poco prima, lo identifichiamo sulla cartina e il gioco diventa, relativamente, piu' semplice. Mentre Stefano e Alimberto, con Lorenzo, dovranno occuparsi della sorgente, Giuseppe e io, seguiti dal nostro mastino, c'inerpichiamo come scoiattoli sulle rocce che ci separano da un sito archeologico etrusco e, piu' in la', da un pianoro dal quale e' facile essere avvistati. Ed e' su uno spuntone di roccia che si protende nel vuoto che, grazie a un acciarino, un po' di ovatta e qualche legnetto, accenderemo il nostro focherello nel tempo limite di poco piu' di un minuto per consentire ai possibili soccorritori dall'aria di accorgersi di noi.
Soddisfatti, scendiamo per un sentiero disseminato di poco rassicuranti segni di passaggio recente di cinghiali a quello che sarebbe diventato il nostro campo base, ai piedi del ponte ferroviario, luogo di rendez-vous con l'altra squadra. Mentre io sono prodigo di suggerimenti su dove e come accendere il fuoco, il «leader» dell'altra squadra si guarda bene dal rivelarmi dove cazzo si trova la sorgente, carogna! E' cosi' che Giuseppe e io seguiamo un corso d'acqua per un bel tratto. Inutile, naturalmente (vale la pena dirlo?) il mio tentativo di convincere Fabio che dove il torrente si restringe, puo' quasi sembrare una sorgente e ci si potrebbe abbeverare tranquillamente. La sorgente, trovata dal solito Giuseppe alcune centinaia di metri e diverse mie madonne piu' avanti, si rivela essere un miserabile tubo di ferro che esce da una roccia. Assetati, il magnanimo mastino ci concede una borraccia e, con qualche dubbio da parte mia, ci facciamo una sorsata di 'sta ferrarelle de noantri, una tavoletta di Lindt 90% cacao, uscita dallo zaino di Fabio (ma neanche con la cioccolata si rilassa Fabio? 90% cacao?!? fiele allo stato puro, mah!), e cosi' rifocillati facciamo rientro alla base. Eh no, troppo semplice, io, nel frattempo, devo simulare di essermi slogato una caviglia (per un tocco di sadico realismo, mi devo anche togliere lo stivale) e devo appoggiarmi all'eroico Giuseppe che mi sostiene per alcune decine di metri, con tanto di ripresa da parte di Fabio. Ah, Giuseppe, a proposito, se fosse toccato a te, non ti fare illusioni. Per me saresti diventato parte del paesaggio della Tuscia viterbese, pero' avrei portato le tue ultime volonta' alla tua fidanzata in Florida.
Al campo base, riunione con l'altra squadra e divertimento finale della giornata: costruzione individuale del rifugio notturno. Devo averlo gia' detto, ma e' meglio ribadirlo: quand'ero piccolo, l'insegnante di applicazioni tecniche aveva mandato a chiamare i miei genitori per dir loro che se il pomeriggio volevano tenermi a casa a leggere invece di andare alle sue lezioni, lui non aveva nulla in contrario. Armato di queste cognizioni e visto che Giuseppe era gia' a buon punto con una discreta canadese di legname e frasche e l'artistico Alimberto si stava costruendo una specie di lussureggiante villetta alla Renzo Piano tra due tronchi, ho negoziato che Stefano e io unissimo i nostri sforzi per una modesta dependence sotto i piloni, scoprendo con orrore che Stefano, in quanto a costruzioni, era piu' negato di me. Non ci restava che una strategia: vagare nel bosco facendo finta di cercare il legname piu' pregiato, sperando che, con l'approssimarsi delle «effemeridi» (sempre loro! ma stavolta benedette) potessimo por fine a questa triste pantomina. Mosso a pieta' dalla nostra inettitudine, Fabio ci ha costruito un passabile rifugio, ponendo finalmente termine alle nostre pene.
Se dovessi fare un bilancio della situazione, direi che su quattro allievi si sarebbero salvati in due: sicuramente Giuseppe, una roccia in tutte le circostanze. Forse anche Alimberto, grazie alla sua fantasia innata. Stefano non lo so. Soffre la macchina, non e' un allievo di Fuksas, e mi sbombarda continuamente con le storie del Bolkov, del Messerschmitt e sa tutto anche sulle locomotive dei treni: secondo me, l'avrei finito prima dell'alba, se anche fossimo riusciti a trascorrere la notte insieme.
In quanto a me, non c'e' pericolo: cazzo ci andavo a fare in aereo a Tarquinia?
Enzo